Tutti conoscono il chinotto come bevanda, ma forse in pochi sanno che si fa con l'omonimo agrume, coltivato soprattutto in Liguria dov'è Presidio Slow Food e con cui si preparano ricette vintage.
Quando si parla di chinotto la prima cosa che viene in mente è la famosa bibita dall’allure rétro, apprezzata o meno per lo stesso motivo: il suo caratteristico gusto amarognolo. C’è chi ne è un forte estimatore e chi invece preferisce puntare su un bel bicchiere di zuccherina Coca-Cola: ultimamente, grazie al ritorno della passione per il vintage, il chinotto è particolarmente in auge, a braccetto con l’inossidabile cedrata. E se è semplice capire che il cedro è la materia prima di quest’ultima, non tutti sanno che anche alla base del chinotto c’è un agrume, che si chiama proprio così. Andiamo alla sua scoperta.
Il suo nome scientifico è Citrus myrtifolia ed è una pianta che fa parte della stessa famiglia di arancio, limone, pompelmo e bergamotto e che produce frutti altrettanto simili: esternamente si riconoscono perché sono tondeggianti, con le dimensioni di un mandarino e la buccia di colore verde-arancione molto rugosa. La polpa interna è gialla, dal profumo fresco ed è caratterizzata da un sapore acido-amaro che non la rende immediatamente commestibile: per questo il chinotto non si può mangiare a spicchi al naturale o bere in spremuta, ma diventa ottimo se trasformato nella celebre bevanda, in liquori o in conserve e marmellate, preparazioni “storiche”, il più delle volte legate alla tradizione regionale e destinate ai mercati locali.
La coltivazione della pianta di chinotto, infatti, non è estesa lungo tutta la Penisola, ma si ritaglia in piccole aree della Liguria e della Sicilia: la più rinomata è quella del Chinotto di Savona, presidio Slow Food dal 2004, che trova il suo terreno d’elezione tra Varazze e Pietra Ligure, con cui realizza l’omonima bibita il marchio Lurisia. Si narra che la pianta sia arrivata dalla Cina grazie a un navigatore savonese nel ‘500, per trovare nella Riviera di Ponente il clima perfetto per svilupparsi.
Bar di provincia e stabilimenti balneari anni ‘60, la popolarità del chinotto è sempre stata da cartolina di un “piccolo mondo antico”, ma in realtà non si è mai spenta: negli anni '90 e 2000, è stata relegata alle frange più orgogliosamente nerd degli assetati di bibite gassate. Nessuno può rivendicare con certezza la paternità di questa bevanda, che viene attribuita alla San Pellegrino (il suo chinotto è del 1958) o alla romana Neri, che retrodata la sua creatura al 1949. Quel che è certo, è che si può paragonare al “Davide” della Bibbia: nel suo piccolo, infatti, il chinotto sfida la Coca-Cola, il gigante “Golia” diffuso dai soldati statunitensi alla fine della Seconda guerra mondiale, diventando il suo italianissimo rivale.
Le due bevande si somigliano perché entrambe sono analcoliche, frizzanti e appartengono quindi alla categoria dei soft drink, ma hanno un sapore totalmente differente: uno col tipico retrogusto amaro dato dall’utilizzo di estratto o infuso di chinotto, l’altra l’inimitabile dolcezza ottenuta da un mix di aromi più o meno segreto, tra cui foglie di coca senza più principio attivo. La bibita al chinotto può essere sorseggiata per dissetarsi, ma è anche usata per dare un twist diverso ai cocktail più conosciuti, rivisitando grandi classici, dall’Americano al Negroni, per un aperitivo super vintage.
Il frutto del chinotto probabilmente è un'evoluzione genetica dell’arancio amaro, da cui prende il gusto che lo contraddistingue: si raccoglie da settembre a novembre, sia quando ha ancora la buccia verde, quindi ancora in maturazione, sia quando è arancione. Visto che non può essere mangiato così com’è, per valorizzarlo ha bisogno di una deamarizzazione, un po’ come succede con le olive, che subiscono sciacqui in acqua e un processo di salamoia in quanto non edibili appena colte dall’albero. Dal chinotto si ricavano tipici prodotti da conserva come la marmellata di chinotti, i chinotti canditi, i chinotti sotto spirito e il liquore al chinotto: grazie all’aggiunta di sciroppi e alcol i frutti acquistano la giusta appetibilità, diventando molto golosi.
Quella dei chinotti canditi al maraschino è una delle specialità più antiche, lavorazione portata in Liguria dalla vicina Provenza a metà dell‘800, grazie a dei pasticceri della cittadina francese di APT, votata per tradizione alla canditura della frutta. Si utilizza il frutto immaturo che una volta ripulito dalla sua amarezza (in passato si lasciava in ammollo per settimane nell’acqua di mare), viene prima fatto bollire e poi immerso in barattoli riempiti di sciroppo ottenuto con acqua e zucchero, e dopo un primo riposo arricchiti dal maraschino. Durante la Belle Époque si servivano in coppette come digestivo, ma anche adesso sono ottimi, magari in accompagnamento al gelato.