Nel Montiferru si produce ancora uno dei pochi formaggi vaccini della regione, un prodotto raro dalle note vegetali entrato a far parte dei Presidi Slow Food.
La Sardegna è una terra di pastori, e non sorprende che il formaggio sia uno dei suoi prodotti più iconici. Il pecorino sardo, ovviamente, ma anche delle vere e proprie rarità che sopravvivono allo scorrere del tempo tra i rilievi dell’entroterra dell’isola: come il casizolu, formaggio rarissimo perché è uno dei pochi a base di latte vaccino.
Inconfondibile con la sua forma di grossa pera panciuta, il casizolu ha una crosta liscia e una pasta intera dura che si sfoglia, ed emana un profumo inebriante dalle note vegetali, che raccontano delle erbe e dei boschi dell’area in cui viene prodotto. Per la sua antichità e per la difficoltà della sua preparazione, il casizolu è stato inserito nell'elenco dei Prodotti AgroalimentariTradizionali (PAT).
Siamo nel Montiferru, area della Sardegna a nord di Oristano, ricca di imponenti formazioni rocciose, corsi d’acqua e sorgenti, borghi pittoreschi dove sopravvivono attività tradizionali. Come, appunto, la produzione del casizolu. Rintracciarne l’origine certa è difficile, ma quello che è sicuro è che il formaggio veniva già citato in alcune fonti medievali locali: era chiamato casei longi – formaggi lungo, per distinguerlo dal pecorino – e veniva esportato a Genova e a Barcellona per arrivare sulle tavole della borghesia europea.
Un formaggio nobile, insomma, ma che nasceva da un contesto rurale, e dalla fatica delle donne. In epoca medievale, infatti, era loro il compito di produrre il casizolu, un procedimento lungo e difficile a cui gli uomini, presi da altri lavori, non si sarebbero mai potuti dedicare. La lavorazione artigianale richiedeva infatti di filare la cagliata in acqua calda per modellare la pasta, un lavoro lungo ore, che richiedeva la pazienza di aspettare il preciso momento di fermentazione lattica necessaria, e che logorava le mani.
Eppure il sacrificio di quelle donne, la loro dedizione e la loro pazienza, hanno permesso al casizolu di arrivare fino ai giorni nostri, o mantenere la tradizione del formaggio ancora viva ci permette, in qualche modo, di onorare il loro impegno.
Oggi il casizolu non è più un’attività riservata alle donne, ma il suo processo produttivo rimane molto lungo e complesso. Proprio per questo nei secoli si è vista una progressiva riduzione nella creazione di questa eccellenza, che per un periodo è stato anche a rischio di scomparsa. Poi alcuni produttori locali hanno deciso di recuperare il casizolu, che oggi è diventato un Presidio Slow Food e tramite l’Associazione Produttori casizolu del Montiferru ne protegge la tradizione tramite un severo disciplinare di produzione.
La lavorazione del casizolu è ancora completamente manuale, avviene tra l’autunno e l’inizio dell’estate e utilizza soltanto il latte delle vacche sardo modicane o bruno-sarde allevate allo stato brado. Il latte appena munto viene lavorato con fatica e pazienza, e dopo aver aggiunto il caglio si attende il punto esatto di fermentazione lattica – che può essere in qualsiasi momento tra l’alba e la notte fonda –, per poi passare alla filatura della pasta.
E quando il formaggio è ben modellato, pronto a riposare qualche giorno e poi essere appeso a stagionare, l’acqua bianca del siero non si getta, perché come da tradizione contadina niente va sprecato: viene usata per preparare il s’abbagasu, un brodo gustoso con cui si insaporiscono le minestre.
Giallo paglierino, leggermente occhiata e tendente a sfogliarsi con la stagionatura, la pasta del casizolu in bocca ha un sentore di bosco e foglia, con note finali che sanno di mandorla. La produzione è molto limitata, e proprio per questo si trova difficilmente fuori dal Montiferru, dove viene venduto nella sua classica forma a pera, come trizza, una treccia da consumare fresca e decorata con fiori, foglie e frutti, o come fresa, formaggella ovale e cremosa tipica dell’autunno.
Il modo migliore di consumare il pregiato casizolu è in purezza, a fette, accompagnato da vini rossi sardi come il Cannonau, il Carignano o il Cagnulari. Molto tipica la preparazione alla piastra, come vuole la tradizione più antica: in passato, infatti, veniva consumato a chiusura dei pasti dopo essere stato scaldato sul camino e condito con un goccio di miele.
Grazie al suo sapore fragrante, il casizolu è ideale per condire primi piatti – invitante la pasta ai quattro formaggi – o per preparare famose ricette sarde, in particolare la zuppa Gallurese, una sorta di “lasagna di pane” a base di pane raffermo e formaggio.