Cos'è la carne prodotta in laboratorio e perché non dovrebbe spaventarci: ma soprattutto perché è sbagliato contrapporla al Made in Italy, arroccandosi su posizioni anti scientifiche.
La così detta carne sintetica è sotto l'occhio del ciclone a causa della "crociata" che il governo Meloni – e in primis il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida – ha deciso di intraprendere sul tema, una guerra seconda solo a quella contro i cibi a base di grillo. Il provvedimento più recente del governo è quello con cui si vieta la produzione di carne sintetica in vitro, tagliando completamente le gambe a un settore che potrebbe vedere una forte espansione in futuro. Espansione sì, ma non in Italia. Ecco come viene prodotta la carne sintetica e perché chiudere le porte al settore può diventare un boomerang.
Iniziamo col dire che la stessa definizione di carne sintetica è sbagliata e probabilmente crea il terreno fertile a una serie di pregiudizi e informazioni fuorvianti: il prodotto di cui si parla è più naturale di quanto possa far pensare questa definizione. Sarebbe più corretto chiamarla carne in vitro: si tratta di una procedura che permette, da una sola cellula, di ottenere 10 mila chili di carne in poche settimane. Una tipologia di carne prodotta a partire dalle cellule staminali embrionali di un animale, coltivate poi in un ambiente sterile, privo di contaminanti, senza l’apporto di antibiotici. E soprattutto senza sofferenza animale.
Per spiegare cos'è davvero la carne in vitro si deve partire dall'assunto di base che oggi, per produrre carne, non abbiamo bisogno dell'animale intero (né della sua sofferenza): basta una cellula. La chiave, infatti, sta nelle cellule staminali: cellule primitive, non specializzate, dotate della capacità di trasformarsi in altri tipi di cellule del corpo attraverso un processo denominato differenziamento cellulare. Un tema su cui si fa ricerca in tanti settori, primo fra tutti quello della sanità: le staminali, infatti, potrebbero essere utili per curare una serie di patologie al momento incurabili. La procedura della produzione di carne sintetica si può spiegare grossomodo così:
Il problema della crisi ambientale e alimentare mondiale non si può più ignorare e aumenterà a dismisura nei prossimi anni. Già adesso milioni di persone non hanno accesso ad acqua e prodotti freschi, mentre una piccola parte del mondo consuma le migliori risorse ambientali e umane per vivere una vita che, che senza questo tipo di sfruttamento, non sarebbe possibile. Produrre carne in laboratorio ci darebbe modo di trovare una soluzione a diversi tipi di problemi.
La carne in vitro è, per prima cosa, un prodotto sostenibile e a dimostrarlo ci sono diversi studi. Noi ne citiamo uno, il più recente, commissionato dal Good Food Institute realizzato dalla società indipendente CE Delft e certificato anche dall'Unione Europea, che sostiene che "la carne di origine cellulare porterebbe a una riduzione del 92% dell’impatto sul riscaldamento globale e del 93% sull’inquinamento dell’aria", senza considerare la riduzione quasi totale del consumo di terreno, pari – 95%, e un decremento importante del consumo di acqua (- 78%).
Considerando di produrre carne in laboratorio sia usando fonti convenzionali sia usando fonti rinnovabili, ne emerge che la carne in vitro sarebbe meno impattante in entrambi i casi: nel caso di fonti rinnovabili l'impatto delle tecnologie usate sarebbe ridotto del 93% rispetto per il settore dei bovini, del 53% per quello dei suini e del 29% in quello avicolo. Ed è proprio qui che si deve agire. La riduzione sarebbe minore se si utilizzassero fonti convenzionali, ma produrre carne in vitro sarebbe comunque più conveniente rispetto all'attuale produzione, fatta soprattutto di allevamenti estensivi.
Ci sono poi dei temi collaterali, che lo studio affronta, come ad esempio quello della salute umana: anche in questo caso ci sarebbe una decisa riduzione delle possibilità di sviluppo e trasmissione di malattie zoonotiche all’uomo, ma anche dell'antibiotico-resistenza. Infine, ma non per importanza, ci sarebbe una sorta di "riqualificazione" dei terreni oggi adibiti alla produzione di mangimi, con effetti positivi sulla biodiversità.
Vogliamo ricordare che, dal punto di vista nutritivo, la carne sintetica ha le stesse identiche caratteristiche di una carne allevata e certificata dal punto di vista della qualità: le presunte carenze nutritive o la capacitò di queste cellule di sviluppare patologie per poi passarle all'uomo sono affermazioni decisamente antiscientifiche.
Naturalmente la comunità scientifica è in piena fasi di dibattito su questo tema: non avendo ancora sperimentazioni su larga scala non possiamo avere la certezza delle ipotesi formulate, che sono dunque "proiezioni". La cosa di cui siamo sicuri, però, è che l'impatto enorme che la produzione attuale di carne ha sul pianeta e il fatto che questo sistema andrà in qualche modo necessariamente smantellato.
La carne sintetica è già legale negli Stati Uniti e a Singapore. Si tratta di un asset economico da non sottovalutare: secondo i dati Nomisma, il mercato mondiale della carne in vitro ha già registrato investimenti pari a 1,3 miliardi. La società di consulenza McKinesy spiega come la carne artificiale potrebbe generare un mercato da 25 miliardi di dollari già entro il 2030 e anche le previsioni di At Kearney sostengono che, entro il 2040, il 35% di tutta la carne consumata proverrà da cellule staminali; la parte restante del mercato, invece, sarà divisa fra prodotti plant based (25%) e carne da allevamento (40%). Segno che la carne in laboratorio non sostituirà del tutto quella degli allevamenti, che però potrebbero essere convertiti in allevamenti estensivi o semi estensivi.
In molti si stanno muovendo su questo campo: la gran parte delle aziende (107 attualmente nel mondo) concentra i suoi investimenti negli Stati Uniti, in particolare negli Stati del Nord, e in Medio Oriente, ma anche in Europa. Proprio l'Europa, secondo i dati diffusi da Good food institute, ospita 29 aziende, fra cui anche una start up trentina. Gli investimenti nel settore hanno raggiunto 1,38 miliardi nel 2021: si parla di circa il 71% in più rispetto all’anno precedente (410 milioni di dollari). Ma non si tratta solo di aziende privati: anche molti governi e istituzioni sovranazionali si stanno muovendo in questa direzione.
Gli Stati Uniti sono capofila, con 10 milioni di dollari di finanziamento per un centro di agricoltura cellulare, mentre l'Unione Europea ha invitato le imprese a presentare progetti sulle proteine alternative, assegnando risorse per due milioni di euro alle aziende olandesi Mosa Meat e Nutreco. L'investimento più grande arriva da Singapore, dove la carne sintetica si può commercializzare a acquaistare, con 426 milioni di euro mnessi a disposizioone del settore. E poi la Spagna con un finanziamento da 5,2 milioni di euro all’azienda BioTech Foods, Il Regno Unito con 1 milione di sterline alla scozzese Roslin Technologies e così via.
Considerato tutto ciò, qual è il senso di arroccarsi su posizioni anacronistiche e sovraniste? Perché contrapporre la carne sintetica, "brutta e pericolosa", al buono e sano Made in Italy? Davvero dovremmo credere che la carne sintetica riuscirà a soppiantare le tradizioni di casa nostra, a volte utilizzate come scusa per la chiusura a temi nuovi, seppur complessi? Made in Italy e ricerca scientifica non possono e non devono essere contrapposte: tutelare il primo non implica necessariamente chiudere le porte al secondo. La tradizione non è un monolite intoccabile, ma è frutto dell'evoluzione delle esigenze dell'essere umano e, in questo caso, del pianeta intero.