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4 Marzo 2020 11:00

Carne salada: la storia, cos’è e come si mangia la specialità trentina

Il Trentino Alto-Adige da sempre offre specialità famose in tutto il mondo. La carne salada non è una di queste: quasi sconosciuta fuori dai confini regionali ma dal sapore inconfondibile. Un salume oltre che un metodo di conservazione vecchio di secoli per la specialità di Tenno, in provincia di Trento.

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In un territorio montuoso e ricco di valli come il Trentino Alto Adige ancora oggi è molto sentita la tradizione delle scorte per l’inverno. In questo contesto nasce un salume tipico del Trentino del sud, ormai coccolato da tutta la regione: la carne salada. “La prima cosa da dire è che non nasce col manzo come la conosciamo oggi, bensì con la capra, la pecora e con le carni povere di cui i contadini disponevano” ci dice Daniele Stanga, di Antica Croce Slow Emotion a Via dei Laghi, 1, Tenno: la città in cui (probabilmente) questo salume è nato. L'albergatore, il cui hotel si trova ai piedi del bellissimo Castello di Tenno, ci dice che in passato la fesa, la parte con cui si fa oggi il prodotto, era troppo pregiata, veniva dunque venduta: "Col tempo i contadini hanno usato anche le parti migliori e non solo le frattaglie, ottenendo la carne salada che noi tutti conosciamo”. Il punto focale della situazione in pratica è un altro: la carne salada oggi è un salume fatto e finito ma è soprattutto un metodo di conservazione e infatti, prosegue Stanga, “conosco dei cacciatori che la fanno con cervi e caprioli. Ha un sapore più selvatico ma è buonissima”.

La storia della carne salada

Grazie ai pascoli d’alta quota e alle condizioni di vita privilegiate a cui i bovini degli allevatori trentini sono abituati, tantissimi prodotti di carne in questa regione sono di qualità eccezionale. La carne salada è un salume pregiato e che si presta a numerosissime varianti, nato molti anni fa. Si trovano tracce del prodotto già in un manoscritto del ‘400, perché grazie al particolare metodo di conservazione, la carne salada regge ai gelidi inverni sulle Dolomiti. Molto si deve alla famiglia Bauer che nel ‘900 inserisce la carne salada tra gli “elementi fondamentali della cucina trentina”. Il metodo descritto nel 1400 è identico a quello utilizzato ancora oggi per il prodotto.

Come si fa la carne salada

La prima cosa che bisogna dire su questo prodotto è l’incredibile semplicità con cui si ottiene, almeno su carta. Serve una fesa di manzo di prima scelta, alla quale vengono aggiunti sale grosso, alloro ("molto alloro" dice Stanga), ginepro, aglio, pepe e rosmarino. Fondamentale la stagionatura, che dura circa un mese, con la carne pressata grazie ad un blocco di marmo, ma la magia di questo prodotto è la “coccola” di cui abbiamo parlato. Ora viene la parte difficile e sfiancante.

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La preparazione della famiglia Stanga

La carne salada è un salume magro, che deve restare tenero. Per questo motivo bisogna pulire la fesa da tutte le parti grasse e poi procedere alla salatura, che non ha un’unica versione. Il mix di spezie varia di produttore in produttore: la sensazione è che con il tempo la salatura diverrà molto più tecnica e importante rispetto al passato. Prima, infatti, serviva quasi esclusivamente come metodo di conservazione della carne e non per il piacere del palato come ai nostri giorni, quindi non si badava a tutte le sensazioni olfattive e palatali che si potevano avere col giusto mix.

Effettuata la salatura la carne va massaggiata per far sì che tutti gli aromi possano penetrare il taglio: un processo va effettuato rigorosamente a mano prima di farla riposare. Pur se a riposo, ogni 2-3 giorni la carne va massaggiata nuovamente, così da evitare grumi di sale o spezie. Uno delle azioni più importanti è prestare attenzione all’acqua perché portatrice di carica batterica: non va usata durante la conservazione e, se si notano dei liquidi, vanno eliminati girando ripetutamente la carne.

Come riconoscere la carne salada

“Come ogni prodotto tipico, va mangiata nei luoghi di produzione” dice Daniele Stanga, la cui ricetta per la carne salada è invariata da oltre un secolo. Difficile l’esportazione al di fuori del Trentino, “perché una volta aperta va consumata in pochi giorni ma si può trovare fuori regione grazie ad alcuni produttori. Purtroppo ciò che vedo in giro anche in altre zone del Trentino è, spesso, un lontano parente di ciò che facciamo noi e questo, essendo un appassionato, mi mortifica”.

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Ma allora cosa bisogna vedere per non essere fregati? “La prima cosa è il colore. Quando vedo quelle carni rosso acceso mi viene un brivido”. Non solo: “Quando la cuciniamo grigliata, se perde troppa acqua può voler dire che non è stata conservata bene ma, cosa ancora più grave, potrebbe essere stata siringata. Molti produttori per velocizzare il processo di stagionatura aggiungono artificialmente le spezie. Anziché far stagionare la carne per 20 giorni, come noi, in tre giorni il prodotto è finito. Le parti che non sono assorbite, vengono rigettate tramite il calore”.

Ma come si cucina questa specialità unica? Il suggerimento di Stanga è semplice: “A carpaccio, tagliando fette molto sottili o grigliata, con fette sottili ma un po’ più spesse rispetto al carpaccio”.

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