Il caffè solubile o istantaneo ha una quantità minore di caffeina rispetto a quello della moka, ma mantiene identiche proprietà e controindicazioni. Andiamo alla scoperta delle differenze maggiori, tra lavorazione, preparazione e gusto.
Il caffè è uno dei piaceri a cui tantissimi italiani non possono rinunciare. Non si gusta in una sola forma, ma in molteplici modi, soprattutto a seconda dei gusti. Se al bar il protagonista indiscusso è l’espresso, in casa, nonostante la diffusione delle cialde, è ancora il borbottare della moka l’unico “rumore” universalmente accettato di primo mattino. Tra gli scaffali del supermercato si trova anche il caffè solubile, un prodotto che in Italia viene spesso usato come alternativa di fortuna quando i precedenti mancano, perché prepararlo è molto rapido: basta scioglierlo in acqua o latte, mescolare e la bevanda è pronta. Il caffè istantaneo è diverso da quello della moka in più aspetti: la lavorazione iniziale, la texture in microgranuli, la quantità minore di caffeina, un gusto e un aroma che tendono a essere meno complessi (e quindi apprezzati dai cultori). Un caffè di serie B, insomma, che per molto tempo ha anche insinuato il dubbio di fare male per la presenza di acrilammide, una sostanza chimica che si sviluppa durante le cotture ad alta temperatura. Vediamo nel dettaglio quali sono le differenze e cosa c’è di vero rispetto ai suoi effetti negativi sulla salute.
Tra le diverse tipologie in cui il caffè si trova in commercio, quello solubile si associa all’idea di avere in casa un’alternativa pratica e veloce che rappresenta più l’eccezione che la regola. Di base è molto comodo quando si viaggia (tipo in campeggio o in case in affitto), quando si va di fretta oppure da utilizzare in cucina, magari per preparare uno spumone al caffè o dei biscotti dall’inconfondibile sapore. Si produce a partire dal chicco verde che viene prima tostato, macinato e messo in infusione nell’acqua, dove subisce un’estrazione che si può paragonare a quella di una caffettiera, che ne conferisce il profilo aromatico. Il liquido ottenuto, a questo punto, deve essere essiccato: il metodo più usato, in quanto più economico, è quello a spruzzo (spray drying), che vede l’uso di aria caldissima (generalmente sui 170-175 °C, ma può essere anche maggiore o minore) per far evaporare tutta l’acqua. Altrimenti, c’è la liofilizzazione (freeze drying), l’opzione preferita da chi punta su una maggiore qualità, in quanto conserva meglio le caratteristiche organolettiche della materia prima: si tratta di congelare il liquido a -40/-50 °C e poi frantumarlo. In entrambi i casi il risultato è la polvere di caffè. Per legge, secondo il DPR 774/1982, il caffè solubile può avere un massimo di umidità pari al 5% e le seguenti denominazioni: caffè istantaneo, estratto di caffè ed estratto di caffè solubile.
Di fronte alla lavorazione appena descritta, una prima differenza che appare chiara è proprio quella del metodo di ottenimento del prodotto. Il processo del caffè solubile è più lungo e complesso di quello del caffè classico, con il chicco crudo che subisce la tostatura e che può essere venduto intero e macinato al momento dell’uso, oppure macinato direttamente negli impianti e poi distribuito in versione polvere. La consistenza finale di quello istantaneo è più granulosa, mentre la miscela da moka è più terrosa.
In secondo luogo, cambia la quantità di caffeina contenuta, che ne vede una presenza minore: in una tazza da 200-250 ml se ne trovano circa 50-100 mg, rispetto alla più “sostanziosa” caffettiera che in 50 ml può raggiungere i 120 mg. Da specificare, in genere, che la presenza di caffeina è influenzata da tantissime varianti, tra cui l’origine del caffè (la Robusta ne ha più dell’Arabica), i gradi della tostatura (più sono alti più si disperde) e la granulometria (più i cristalli sono fini, più ce n'è).
Un’altra differenza che balza all’occhio è la preparazione. Il caffè istantaneo è pronto nell’immediato unendolo direttamente con acqua, latte o bevande vegetali calde e fredde. Quello della moka è più lento e si ricava tramite l’estrazione attraverso il filtro a pressione, con l’acqua che dalla camera inferiore incontra la miscela e si raccoglie, infine, nella camera superiore. Ultima differenza è quella che riguarda il gusto: durante la parte di infusione ed essiccazione, il caffè istantaneo tende a perdere le note aromatiche che lo caratterizzano, con la conseguenza di risultare generalmente più piatto, senza un bouquet distintivo. Da questo punto di vista, soprattutto con l’arrivo degli speciality coffee (caffè selezionati di alta qualità) anche il mondo dei produttori dei solubili sta cercando di migliorarne la reputazione, usando varietà di prima scelta e metodi di lavorazione meno invasivi (come la liofilizzazione).
La risposta alla domanda è: no. Per quanto riguarda la salute, non c’è alcun pericolo nel consumo quotidiano di caffè istantaneo, proprio come quello della moka (a patto che non ci siano patologie che lo sconsigliano o lo proibiscono). La connessione con l’acrilammide, considerata potenzialmente cancerogena, proveniva dal fatto che il caffè fosse trattato ad alte temperature durante il processo produttivo con lo sviluppo, quindi, a 120-150 °C, di questo composto nocivo. In realtà, tutte le tipologie di caffè incorrono in questa sostanza, in quanto subiscono la tostatura: la “buona notizia”, come suggerisce l’AIRC, considerando un uomo di corporatura media e sui 70 kg, il rischio di tumori aumenterebbe se assumesse 400 espressi al giorno. Meglio bere il caffè solubile o quello della moka? Il caffè della caffettiera regala un’esperienza sensoriale a 360°, comprendendo tutta la ritualità del gesto che, in Italia, ha un grandissimo valore simbolico: ciò che conta è non considerare la moka superiore tout-court, perché se si parte da una prodotto di poco pregio, allora lo sarà anche la bevanda. Il caffè solubile, infatti, mantiene le stesse proprietà e controndicazioni, con i medesimi effetti stimolanti ed energizzanti.