Si chiama banano, ma non ha niente a che vedere con la pianta che, baciata dal sole dell’equatore, produce i tipici frutti gialli allungati. Alle isole tropicali preferisce la montagna, può resistere anche a temperature estremamente fredde.
Se vi sembra strano che un banano possa crescere anche a una temperatura compresa tra i -10 e i -20 °C, forse non avete mai sentito parlare del banano di montagna, detto anche banano del nord. Nonostante il nome, infatti, i suoi frutti non sono tipici degli ambienti tropicali, anzi: questa pianta ama il freddo, le temperature rigide, al costume e tintarella preferisce sciarpa e guanti di lana. Non a caso la denominazione “di montagna” è sintomo della sua origine d’altura. Si trova quindi più a suo agio con il gelo rispetto all’afa e la calura equatoriale.
La pianta risale, stando ai ritrovamenti fossili, ad almeno 5 milioni di anni fa (periodo in cui le prime scimmie iniziavano a camminare in posizione eretta), autoctona delle regioni fredde degli Stati Uniti (dove oggi è conosciuta anche come pawpaw, dal nome di una tribù nativa che usava consumarli) e importata in Europa, precisamente in Inghilterra, a fine 1700. Rimasta un po’ sotto traccia per tantissimo tempo, negli ultimi anni sta prendendo piede anche in Italia, dove stanno progressivamente crescendo il numero delle sue coltivazioni. Oltre per ricavarne frutti le piante sono utilizzate anche a scopo ornamentale, per la non eccessiva grandezza e l’eleganza della loro chioma. È stato evidentemente lungo il viaggio, in termini di tempo e di spazio, che ha portato il banano di montagna dalle sue zone di origine sino a noi, ma oggi è un frutto che non è raro trovare anche in molti giardini (pubblici e privati) o supermercati.
Per una volta insomma non parliamo di uno strano alimento che dalle remote regioni dell’Asia inizia ad attecchire anche da noi, ma di un frutto (di certo inedito per la nostra cultura) con tutte le carte in regola per essere consumato (quasi) come la banana tradizionale. Ma cosa rende il banano di montagna così particolare? L’appellativo rappresenta un primo indizio: si tratta di una pianta capace di adattarsi a zone anche particolarmente fredde, con temperature rigide, e per questo è dotata di una grande resistenza a climi non proprio accoglienti. Niente tropici o isole incantate, il banano di montagna proviene dalle severe foreste delle regioni centro orientali degli Stati Uniti, in particolar modo Nebraska e Luisiana. È presente inoltre anche nei territori dei grandi laghi, al confine con il Canada.
A breve, insomma, non sorprendiamoci se dovessimo vedere anche qui un numero sempre crescente di questi frutti nei supermercati o di piante in vivai o coltivazioni dedicate, essenzialmente nel Nord Italia. Aspetto fondamentale per la cura è fare attenzione alla temperatura: se gli alberi resistono a un clima più che rigido (fino ai -20 °C), diverso il discorso per quanto riguarda il caldo, particolarmente sofferto. Tutto il contrario rispetto al banano tradizionale, in buona sostanza.
I frutti del banano di montagna contengono una discreta quantità di proteine, risultando indicati (assieme all’avocado e al cocco) a chi fa sport. Questa loro composizione va a beneficio della costruzione muscolare o del recupero di energie dopo un intenso sforzo. Per 100 grammi di prodotto 70 sono di acqua, con carboidrati, zuccheri e appunto proteine a “spartirsi” il resto. Il banano è inoltre ricco di minerali, con una forte carica di magnesio, potassio e fosforo. Acido oleico e amminoacidi tra le altre sostanze contenute nel frutto, oltre a vitamina A e C.
Per apprezzare al meglio il suo sapore il banano bisogna coglierlo quando ha raggiunto il giusto grado di maturazione. Una finestra temporale piuttosto ristretta, dato che il frutto poi tende a deperire velocemente (non si conserva più di 7-10 giorni). Entrando nello specifico, di cosa sa il banano di montagna?
Al palato si presenta molto dolce, ricorda vagamente una banana piuttosto matura (da qui il suo nome) o frutti tropicali come il mango. Per il suo sapore molto zuccherino era un alimento particolarmente apprezzato da George Washington, il quale si narra amasse consumarlo ghiacciato a mo’ di dessert.
Come si mangia invece? Aprire il frutto in due ed estrarre la polpa (di un giallo vivo) con un cucchiaino per assaporarlo in purezza, ma può anche essere una base per frullati, confetture ed estratti. Attenzione però ai semi (circa una decina e facilmente individuabili, simili a fagioli allungati): è bene estrarli dal frutto, perché se ingeriti e morsi rilascerebbero delle sostanze (interne al seme) tossiche, che potrebbero provocare dolori addominali. Qualora però venissero inghiottiti interi risulterebbero innocui, in quanto i succhi gastrici non riuscirebbero a “rompere” l’involucro esterno.
Occhio anche a un eventuale eccessivo consumo del frutto: uno studio di qualche anno fa ha evidenziato un’elevata quantità di annonacina nella polpa, sostanza che a lungo termine può provocare danni neurotossici.