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27 Gennaio 2022 15:00

Alla scoperta dei solfiti nel vino: cosa sono, a cosa servono e se fanno male davvero

Solfiti sì solfiti no, il dibattito nel mondo del vino va avanti da anni, ma non c’è una posizione definitiva. Tra vantaggi e svantaggi vediamo di capire perché dividono tanto: cosa sono i solfiti, perché si trovano o vengono aggiunti al vino e che conseguenze possono avere sulla salute.

A cura di Francesca Ciancio
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Il primo risultato che causa l’anidride solforosa a chi deve scrivere un articolo su quest’argomento è un gran mal di testa: si tratta di un argomento complesso, che scatena timori e paura a volte infondate. Forse è l’effetto placebo o forse la consapevolezza che ci si sta per buttare in un ginepraio di considerazioni, opinioni e smentite, ma cercheremo di essere più chiari possibile: ecco una piccola guida che ci aiuta a parlare di solfiti nel vino, per capire cosa sono, a cosa servono, se fanno male o meno.

I solfiti nel vino: perché ci sono e a cosa servono

Partiamo dalla sua formula, So2, una molecola di zolfo e due di ossigeno. Si tratta di un gas incolore, dal tipico odore di fiammifero bruciato e tossico: è sprigionato, ad esempio, naturalmente dall’attività vulcanica. Se ne parla tanto se l’argomento è il vino, ma in realtà tantissimi alimenti contengono solfiti, perché il loro compito è quello di prevenire l'ossidazione dei prodotti: vengono utilizzati molto nella conservazione di bevande come succhi di frutta e alimenti come il baccalà, le marmellate o i pomodori.

I solfiti negli alimenti sono impiegati in forma solida e in polvere, mentre l’anidride solforosa può essere utilizzata in forma gassosa o liquida. In entrambi i casi svolgono una funzione antiossidante e antimicrobica e possono essere presenti sia naturalmente, sia aggiunti. Nel vino, per l’appunto, si formano naturalmente durante la fermentazione: i lieviti si nutrono degli zuccheri contenuti nel mosto, trasformandoli in alcool e, durante questo processo, producono delle leggere quantità di solfiti.

Quelli aggiunti invece, come dicevamo, sono necessari a mantenere intatte le caratteristiche organolettiche e la qualità nel tempo dei vini: ciò avviene in particolare quando si ritiene che i solfiti presenti naturalmente non riescano a svolgere questo compito al 100%.

A ogni vino i suoi solfiti: come variano le quantità

La quantità di solfiti aggiunta cambia a seconda di diversi fattori. Ecco quali sono:

  • Nel caso dei vini bianchi si tende a usare più anidride solforosa, a causa della mancanza dei tannini che, presenti invece nei rossi, proteggono naturalmente il vino dalle ossidazioni. I bianchi invece sono soggetti ad un rapido attacco dei batteri.
  • In particolare i vini dolci che non trasformano tutti gli zuccheri in alcol e continuano così a fermentare, necessitano di una più abbondante quantità di solfiti.

La solfitazione, il processo di aggiunta dei solfiti, può avvenire in più momenti: a partire dai grappoli arrivati in cantina, per evitare l’ossidazione del succo e limitare lo sviluppo di batteri; durante la macerazione, dei rossi in particolare, perché aiuta a estrarre il colore; alla fine della fermentazione per rendere il mosto più limpido.

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Ma quanti solfiti si possono aggiungere al vino? La loro registrazione è possibile solo al di sopra dei 7 mg per litro, quindi al di sotto dei 10 mg/litro vengono considerati vini senza solfiti, e sull’etichetta in bottiglia si può omettere la dicitura “contiene solfiti”.  Come abbiamo detto in precedenza però l’uva può sviluppare, nei processi di vinificazione che compie, una quantità naturale di solfiti: se questa supera il limite burocratico dei 10 mg/l e si è costretti a esporre comunque la dicitura “contiene solfiti”.

La normativa europea di riferimento (Regolamento CE 606/2009) ha fissato il limite massimo dei solfiti presenti in un vino in 150 mg/litro per i rossi e 200 mg/litro per i bianchi – un limite che si alza a 200 e 250 mg/litro per i vini dolci o per specificati tipi di vino.

La successiva normativa sul vino biologico (Regolamento CE 203/2012) ammette ormai l'uso dei solfiti, ma con quantità massime di 100 mg/litro per i rossi e di 150 mg/litro per vini bianchi e rosati. Esiste anche la possibilità di aumentare in tutti i casi di 30 mg/litro se il vino possiede oltre 2 grammi di zucchero residuo.

Anidride solforosa libera e combinata: cosa vuol dire? 

Durante l’uso della solforosa in enologia, una parte di questo gas si combina con alcuni componenti del mosto o del vino, mentre la restante parte resta libera, cioè non combinata. È  proprio la parte libera che ha effetti antiossidanti e antisettici, per questo è importante che i solfiti si combinino il meno possibile. Nel caso in cui la frazione libera si disperda è comunque importante che intervenga la parte combinata che va a sostituire la prima, anche se in minima parte. La quantità di anidride solforosa libera sommata alla quantità combinata determina la quantità di anidride solforosa totale, che è poi il dato che troviamo più facilmente riportato nelle descrizioni.

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Solfiti nel vino: quanto fanno male e perché? 

Essendo considerati degli allergeni, queste sostanze chimiche possono avere un impatto negativo sul nostro organismo. Tuttavia la EUFIC (European Food Information Council) ritiene che questa definizione corrisponda a una catalogazione della normativa e i solfiti non sono in grado di scatenare shock anafilattici o effetti gravi come per altri allergeni.

Tra le conseguenze (e i sintomi) più comuni dell'eccessivo consumo di solfiti ci sono mal di testamal di stomaco, mentre l’assunzione eccessiva di solfiti da parte di persone con problemi di asma può provocare respiro affannoso e tosse. In alcuni casi di continua ingestione di solfiti, è possibile anche una riduzione nella capacità di assorbimento della vitamina B1.

L’Organizzazione mondiale della Sanità indica una quantità giornaliera massima di solfiti negli alimenti da non superare, che è pari a 0,7 mg per chilogrammo di peso corporeo. Per fare un esempio, una persona che pesa 70 chili non dovrebbe superare la quantità di due bicchieri di vino da degustazione: al terzo potrebbe nostre già qualche fastidio.

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Con o senza solfiti: come cambia il consumo del vino

La tendenza nella vinificazione è quella di ridurre l'impiego dell'anidride solforosa, limitando l'aggiunta di solfiti solo nella fase finale della vinificazione, evitando quindi di aggiungerli nelle fasi iniziali. L’uso della solfitazione, come abbiamo già detto, stabilizza i vini e quindi ne preserva profumi e aromi: ma questo avviene solo se i solfiti sono usati nelle giuste quantità, cosa che è la maestria e l'esperienza del vinificatore a stabilire. Al contrario, un uso eccessivo può peggiorare le qualità del prodotto, dando vita a sgradevoli odori sulfurei o marcescenti, così come ad aromi di riduzione persistenti, il tipico “odore di chiuso”.

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