Dal 1 gennaio 2022 scadrà il decreto che obbliga i produttori di pasta a indicare in che Paese viene coltivato e macinato il grano. La legge europea che entrerà in vigore il prossimo anno è molto più blanda e questo ha gettato nel panico la Coldiretti ma i pastai italiani stanno cercando di rassicurare gli utenti: secondo l'associazione non cambierà nulla per i consumatori.
Dal prossimo anno scade la norma che prevede l'obbligo di indicare in etichetta il Paese di provenienza del grano e quello della macinazione. C'è molta paura nell'aria ma in realtà cambierà poco per i consumatori: sarà più difficile capire la provenienza, questo è vero, ma non sarà impossibile.
Fino al 31 dicembre è infatti in vigore un decreto del 2017 dichiaratamente transitorio. All'epoca non lo sapevamo ancora, ma da lì a poco avremmo avuto molta dimestichezza con la parola "decreto". Come abbiamo imparato nel biennio di pandemia, i decreti hanno una data di scadenza: in questo caso sarebbe dovuta risalire al 31 dicembre 2020. L'anno scorso è stato prorogato fino alla fine del 2021; nel frattempo è stato emanato un Regolamento dell'Unione Europea che stabilisce le regole generali sulle indicazioni obbligatorie da fornire in etichetta.
Il decreto in vigore in Italia prevede la dicitura di grano italiano, europeo o extra europeo c'è l'obbligo di indicazione con le diciture "paesi Ue, paesi Non Ue, paesi Ue e Non Ue". Se il grano è coltivato per almeno il 50% in un solo Paese (prendiamo ad esempio l'Italia), bisogna scrivere "Italia e altri Paesi". La principale novità è proprio qui: se una pasta è prodotta con il 51% di grano italiano, sarà possibile etichettarla come "prodotta in Italia".
Questa normativa sta facendo discutere aspramente l'industria nostrana, con una levata di scudi da parte di Coldiretti (promotrice del vecchio decreto). L'associazione, a sostegno di una tesi catastrofista, ha mostrato anche dei dati: la trasparenza dell'etichetta ha portato gli acquisti di pasta con grano al 100% italiano a crescere di due volte e mezzo, cosa che ha portato a spingere le industrie agroalimentari ad investire sulla materia prima nostrana, creando nuovi posti di lavoro. Tutto questo è successo durante un incontro a Tuttofood, un prestigioso evento a Milano, in cui gli industriali hanno comunque rassicurato che l'origine del grano sarà ancora indicata in futuro sulle confezioni e che, volente o nolente, il grano italiano copre solo una parte della produzione nazionale. L'Italia è un lembo di terra troppo piccolo per soddisfare il fabbisogno (anche solo interno) di pasta.
L’obbligo dell’etichettatura italiana vale anche per il riso, per il pomodoro per la passata, per il latte nelle confezioni uht, per i formaggi e la carne di maiale nei salumi oltre che per la pasta. La legge UE è, inutile nasconderlo, molto meno stringente rispetto al decreto attualmente in vigore e lascia molta più flessibilità sul riferimento dell'origine. La misura, secondo Coldiretti, scatenerà "una tempesta perfetta con la scadenza dell’obbligo dell’origine in etichetta che si aggiunge al caro prezzi determinato dagli aumenti delle quotazioni internazionali del grano legati al dimezzamento dei raccolti in Canada" proprio come succederà col caffè a novembre.
Il Paese delle foglie d'acero è il principale produttore mondiale di grano e l'Italia è costretta a importare circa il 40% del raccolto per soddisfare il fabbisogno di pasta. L'importazione dal Nordamerica non è mai andata a genio ai puristi perché le leggi su insetticidi e pesticidi in Canada sono molto più blande. Lì è permesso, tra le altre cose, l'uso del glifosato, un erbicida facile da usare ed economico che potrebbe essere, tra le altre cose, perfino cancerogeno.
Tutto ciò non vuol dire che i produttori cominceranno a puntare sulla materia prima straniera, perché il Made in Italy funziona benissimo. Il nostro grano resta centrale nella produzione, ma "serve un protocollo d'intesa che regoli i prezzi del mercato" per Coldiretti. Una cosa simile fu fatta anche nel 2017, con agricoltori, cooperative, aziende e industrie, che firmarono un protocollo per rendere più competitivo il mercato italiano, nel segno della qualità. Secondo Riccardo Felicetti, presidente dei Pastai italiani di Unione Italiana Food, "la qualità non conosce frontiere e la sicurezza è garantita da stringenti normative europee e da un rigido sistema di controlli nazionali, sia sulla materia prima nazionale, sia su quella importata, cui si aggiungono numerosi autocontrolli dei pastai. Gli accordi del 2017 hanno permesso un boom di contratti di coltivazione tra pastai e mondo agricolo e cooperativo, permettendo al mondo della panificazione un grano ‘giusto' e un equo compenso, al riparo dalle oscillazioni del mercato". Da gennaio 2022 le confezioni di pasta potranno essere meno chiare e saranno a norma di legge, ma l'industria della pasta assicura che non sarà così.