Il riso nero di Jemma prodotto esclusivamente da Magisa è ben strutturato, dal sapore intenso. L'azienda calabrese ha deciso di investire sul proprio territorio ottenendo un prodotto d'eccellenza ideale per grandi piatti. Lo abbiamo provato alla Taverna la Riggiola, declinato dallo chef Francesco Pucci.
Il riso più giovane d’Italia, nato a fine 2019, è calabrese e si chiama Jemma. Prodotto dalla Magisa, una realtà imprenditoriale di Giancarlo Praino e Agostino Rizzo, che si è proposta di lavorare il riso con delle tecniche artigianali chiudendo la filiera. Il riso nella piana di Sibari direte voi? Sì. Sebbene nell’immaginario collettivo la risaia sia immersa in zone piovose e fredde come il triangolo "d'oro" Vercelli-Novara-Pavia, la più grande pianura della Calabria ha una vocazione molto antica e su questa storia Magisa vuole scrivere il proprio nome.
Il chicco al Sud Italia arriva in tempi antichissimi grazie ai Greci che trovarono nel Meridione una terra fertilissima e provarono a coltivare qualunque cosa. Per circa 500 anni il riso in Calabria è mangiato, comparto, venduto ma non lo si riesce a coltivare. Sebbene la popolazione Ellenica abbia messo le basi per le risaie nella Piana di Sibari, la risicoltura non prende piede in queste zone.
Dopo cinque secoli arrivano gli Arabi che portano in Sicilia il riso egiziano. La prima scelta è Siracusa ma non funziona, tentano di portarlo a Sibari dove attecchiscono le prime coltivazioni. Non stiamo dicendo che il riso a Sibari diventa alimento quotidiano, “eppur si muove”. La vera mini-rivoluzione avviene grazie alle bonifiche attuate alla fine della Seconda Guerra Mondiale che hanno reso quei terreni paludosi perfetti per la coltivazione del cereale, così vicino al mare quanto alle falde acquifere del Monte Pollino. Negli anni ‘50 nascono le prime sperimentazioni dei coltivatori e molto lo si deve a Camillo Toscano, che ha creato a Sibari un campo sperimentale per cercare le migliori coltivazioni di riso per la Calabria facendo di Sibari la località più a sud d'Europa dove questa particolare coltivazione è possibile. Toscano vendeva ai cittadini locali pacchetti da un chilo ma la quasi totalità del riso veniva ceduta al consorzio di Verona: ancora oggi la maggior parte del riso calabrese viene esportata ed è per questo che è nato il riso nero Jemma.
La varietà Jemma nasce nel 2019 dopo 10 anni in cui Magisa ha sperimentato con l’aiuto di Giandomenico Polenghi, un esperto di genetica agraria, che ha proposto a Giancarlo Praino di ideare una varietà ad hoc per la coltivazione nella piana di Sibari. Dopo aver selezionato alcune linee di risi a pericarpo nero e averle testate presso l’azienda agricola, è stata finalmente identificata la varietà che abbiamo degustato alla Taverna La Riggiola.
Il riso, stando alla classificazione Ente Risi, è un Lungo A a pericarpo nero, “di forma semi affusolata e grossezza media, che durante la coltivazione emana un aroma simile a quello dei popcorn”. Il marchio è registrato per 10 anni e quindi sarà un’esclusiva di Magisa che ha tagliato l’esportazione: il riso calabrese deve essere venduto dalle aziende calabresi. La decisione delle tre giovani figlie di Giancarlo Praino, ovvero Maria, Giusi e Sara (le cui iniziali formano il nome dell’azienda), affiancate da Paolo e Daniela Rizzo, figli di Agostino. La ditta nei suoi 450 ettari di risaie coltivate a basso impatto aziendale propone tante altre varietà come Carnaroli, Arborio, Karnak, Originario, Gange, Rosso solitario, Integrale e Grandi chicchi.
Il riso Jemma e le altre varietà Magisa le abbiamo provate in un menu speciale realizzato dallo chef Francesco Pucci: sei portate, dall’antipasto al dolce, tutte con il riso. Ad aprire le danze un panino con farina Jemma, scarola, composta di pera e sashimi di baccalà, molto equilibrato nei sapori tutti ben distinguibili all’assaggio: abbinamento composta-baccalà da provare più e più volte. Il secondo piatto è stato un riso nero al salto con fagioli e cozze, miglior piatto del menu. Ottima materia prima, sapidità ben bilanciata dal sapore ferroso del riso e tante consistenze, per un piatto con ingredienti poveri ma dal gran gusto.
Dal classico fagioli e cozze si è passati all’abbinamento ostrica e caviale. Teoricamente il piatto forte del menu è il risotto Karnak allo zafferano del Vesuvio, burro acido, ostrica grattugiata e caviale; nei fatti il riso al salto è stato superiore. Il piatto è ben eseguito, equilibrato: appena servito in tavola l’odore del mare ci ha investiti ma la prova del gusto è stata solo sufficiente. Una rivincita per gli ingredienti poveri, perché nonostante il risotto fosse più che onesto, il piatto povero con fagioli e cozze lo ha surclassato. Troppo intenso il sentore di zafferano rispetto al sapore delicato del caviale e dell'ostrica grattugiata. L’abbinamento delle portate scelto da Pucci è stato comunque lodevole e ce lo ha spiegato dicendo che “A tavola facciamo un viaggio perché la cucina è globale, è di tutti. Partendo dalle cucine di casa a quelle internazionali. Mai dimenticare ciò che siamo e da dove veniamo ma c’è tanto oltre ed è per questo che ho scelto di mettere uno dopo l’altro i due piatti”.
Lo zafferano del Vesuvio come tutte le specialità campane dei piatti provengono dall’azienda agricola di Pietro Micillo, titolare della Taverna e proprio dall’azienda arriva una materia prima antichissima che pochi meridionali hanno assaggiato, la torzella; una varietà di cavolo molto antica coltivata con passione dai Borbone. Per l’occasione ha fatto da ripieno, con la ricotta di bufala, ad un bottone di riso jemma adagiato sul ragù alla Genovese dello chef Pucci. Gli ultimi due piatti sono un omaggio alle radici duosiciliane del ristorante: il sartù con il ragù napoletano e una cassata siciliana con il riso jemma.
La storia dello chef Pucci è molto interessante: un broker finanziario nativo di Catanzaro che a 32 anni ha deciso di abbandonare numeri e borsa per iscriversi all’Alberghiero e fare della cucina la propria vita. “Cucinavo per passione – dice il cuoco – la sera mi divertivo con gli amici, a volte anche nelle cucine professionali, così ho deciso di farne un lavoro. Ho preso il secondo diploma per prendere l'abilitazione alla somministrazione e poter quindi essere ufficialmente abilitato ad entrare in cucina”. Nonostante il menu, Pucci è vegetariano ma “Un cuoco deve assaggiare tutto". Pietro Leeman "è il mio padrino e sarebbe un sogno avere un ristorante completamente vegano”. Il riso Magisa lo ha portato in cucina alla Taverna in occasione del Magna Grecia in Tour, una serie di iniziative per portare le eccellenze calabresi fuori dalla regione. Magisa è partner dell'Associazione Professionale Cuochi Italiani il cui presidente per la Calabria è proprio Pucci. Della stessa estrazione anche i vini in degustazione, con la Cantina Spadafora, anche loro tra i protagonisti del tour organizzato da APCI Calabria.
La Calabria spesso confinata a provincia d’Italia, chiusa in se stessa. “Ma che la Calabria si ritenga una cosa a parte dell’Italia spesso sono gli stessi calabresi a deciderlo” dice senza mezzi termini. C’è una speranza però “perché le nuove generazioni stanno facendo rete. Nui simu capatost ma aver toccato il fondo con la punta delle dita, riferendomi a tutti i settori professionali e aziende, ha spinto la nuova generazione di calabresi a voler fare rete e far uscire questa Regione fuori dai propri confini. Conoscere i nostri prodotti è la prima cosa, quando li conosceremo noi potremmo portarli fuori dalla Calabria”.
Taverna la Riggiola
Vico Satriano, 12, Napoli
tel. 081 76 47 030