Uno studio ribalta completamente le convinzioni che avevamo: gli odori ci piacciono oppure no a causa delle molecole, non per dei preconcetti culturali.
Una delle più importanti risorse per un cuoco è la capacità di evocare i ricordi: il ragù che ci fa tornare in mente i pranzi della domenica in famiglia, le polpette della nonna e così via. Olfatto, gusto e mente hanno un rapporto strettissimo tra loro. Il legame è così viscerale, autentico e immediato che diversi scienziati hanno deciso di studiarlo e ciò che ne è uscito fuori è davvero straordinario: la percezione di quanto un odore sia buono o cattivo è simile anche tra società molto lontane e diverse fra loro. Non riguarda un preconcetto culturale: questo ha una valenza davvero ridottissima. Il nostro naso è molto più cinico di quanto pensiamo quando si tratta di cibo: recepisce le molecole e decide il da farsi.
Per molto tempo abbiamo pensato che la cultura di una determinata popolazione avesse un ruolo centrale nell'emotività dei profumi legati al cibo. L'Economist fa l'esempio dell'aringa fermentata in Svezia: lì è una prelibatezza ma secondo i sondaggi è uno degli odori peggiori al mondo.
Proprio per questa ragione qualche tempo fa è stato pubblicato un ampio studio che ha coinvolto decine di università prestigiosissime sparse per tutti i continenti, pubblicato sulla rivista Current Biology con l'intenzione di scoprire come gli esseri umani percepissero realmente i profumi. La ricerca ha coinvolto docenti di psicologia, antropologia, medicina, scienze naturali, letteratura, e tante altre materie: non hanno lasciato nulla a caso e il risultato ottenuto è sorprendente.
Secondo lo studio le persone di diverse parti del mondo percepiscono gli odori come buoni o cattivi allo stesso modo: la cultura e la società hanno dunque un ruolo secondario. Lo studio partiva in principio dalla teoria opposta: volevano dimostrare come la tradizione avesse un peso specifico molto importante sulla percezione sensoriale e invece i risultati sono stati completamente contrari.
Lo studio è stato molto variegato: ha coinvolto gruppi di persone che si sostengono grazie all’agricoltura e alla pesca, altri che vivono di caccia, altri che vivono in città. Gli hanno chiesto di annusare dieci odori e indicare su una scala da 1 a 10 quali ritenessero gradevoli o sgradevoli. Ci sono state delle differenze di risposta anche all'interno degli stessi gruppi ma parliamo di sfumature: come scrive il Post, tutti hanno percepito come gradevoli o sgradevoli gli stessi odori, indipendentemente dalla cultura e dalla provenienza.
Tra gli odori che gli scienziati hanno sottoposto alle persone c'è l'eugenolo, emanato dai chiodi di garofano e dalla cannella, l'acidido caprilico, che è contenuto nel latte materno o nel burro di cocco. Universalmente hanno apprezzato l'odore di vaniglia e quello di ananas.
A nessuno è piaciuto l’acido isovalerico, tipico della "puzza di formaggio", ma anche della puzza dei piedi sudati. Questo particolare non è casuale: la puzza dei piedi è dovuta a diversi fattori, come il batterio del genere Brevibacterium, la stessa famiglia che produce la muffa sugli erborinati olandesi. In generale l'odore forte è dato da agenti enzimatici comuni tra le due "puzze".
Secondo i ricercatori solo nel 6% dei casi l'identificazione di un odore come piacevole o meno è stata determinata dalla provenienza geografica. La maggior parte delle persone ha scelto in base alle preferenze personali e che un profumo ci piace oppure no in base alla molecola che percepiamo. Questo dimostra che grazie all'evoluzione gli esseri umani hanno imparato a distinguere gli odori buoni e quelli cattivi legati alla sopravvivenza della specie. Per gli autori, dunque, la percezione olfattiva è "fortemente legata a principi universali".